Recensioni Reviews
Scheda
Soggetto:
Emilio Estevez
Sceneggiatura:
Emilio Estevez
Regia:
Emilio Estevez
Prodotto da:
Bold Films Llc
Distribuito da:
01 Distribution
Edizione italiana:
SEFIT-CDC
Dialoghi italiani:
Sandro Acerbo
Direttore del Doppiaggio:
Sandro Acerbo
Assistente al doppiaggio:
Fabrizio Salustri
Fonico di mix:
Alessandro Checcacci
Voci:
Shia Labeouf:
Andrea Mete
Anthony Hopkins:
Dario Penne
Brian Geraghty:
Stefano Crescentini
Jacob Vargas:
Simone Mori
Laurence Fishburne:
Alessandro Rossi
Joshua Jackson:
Vittorio De Angelis
Christian Slater:
Sandro Acerbo
Heather Graham:
Rossella Acerbo
Helen Hunt:
Emanuela Rossi
Elijah Wood:
Davide Perino
Lindsay Lohan:
Alessia Amendola
William H. Macy:
Ambrogio Colombo
Sharon Stone:
Cristiana Lionello
Demi Moore:
Franca D'Amato
Martin Sheen:
Stefano De Sando
Freddy Rodriguez:
Fabrizio Manfredi
Emilio Estevez:
Massimo De Ambrosis
Ashton Kutcher:
Riccardo Rossi
Nick Cannon:
Roberto Gammino
Svetlana Metkina:
Tiziana Avarista
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dialoghi italiani |
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direzione del doppiaggio |
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Estevez escogita un bell'espediente per raccontare l’ultimo giorno del senatore Robert Kennedy, quel 5 giugno del 68 in cui Sirhan Sirhan gli sparò all’Hotel Ambassador di Los Angeles: quello di raccontarlo attraverso impiegati e clienti di un esplicitamente citato Grand Hotel, che fanno vivere proprio quell’America a cui Kennedy si rivolgeva. Il tragico evento resta così "di quinta" e si mostra quasi come un’irruzione della storia nella vita reale, con una interessante inversione di piani.
Il doppiaggio non sarebbe da buttare, in particolare per quanto riguarda la direzione: i grandi interpreti hanno tutti ottimi e sensibili doppiatori; l’unica scelta discutibile è forse quella di Stefano De Sando, che non pare abbastanza incollato a Martin Sheen. I dialoghi italiani mostrano un discreto livello di mestiere, con un lip-sync molto buono (da mestierante, appunto), ma con una buona dose di evitabili sbavature e di forme sintattiche ricalcate sull’inglese e inesistenti in italiano. Tanto per fare qualche esempio, il politico nero non può chiamare «negri» i suoi, perché esiste una regola quasi ferrea sul modo politicamente corretto di definire i neri americani e nel 68 “negro” non lo sarebbe stato; il coordinatore elettorale definisce il sistema di voto elettronico "legittimo" invece che "legale"; la giornalista ceca chiede a Christian Slater di controllare dove si trova la Cecoslovacchia «su una mappa», e così via.
Ma l’errore a mio parere più grave, che avrebbe distrutto anche un doppiaggio perfetto (e che ha condizionato pesantemente la valutazione sia dei dialoghi sia della direzione), è stato quello di non doppiare proprio lui, Kennedy, le cui parole, dal televisore o nelle scene ricostruite dell’ultimo discorso all’Ambassador, fanno da colonna e commento a tutto il film. A catena, non è stato doppiato neanche il giornalista della CBS che lo intervista, né quello che annuncia il servizio.
L’effetto è di totale irrealtà, come se tutta quella gente vedesse un programma su un presidente straniero su Sky. La ragione di una scelta così scellerata mi sfugge; il risultato è che le bellissime parole di Bobby Kennedy su pace, convivenza e compassione che commuovono, indignano e danno senso a tutto, ci sembrano giungere da un altro pianeta, estraniate, decontestualizzate. Non so se l’ideona è stata del dialoghista/direttore di doppiaggio o del distributore, ma leggere sottotitoli mentre si dovrebbe vivere la fine di un sogno collettivo è un doppio dolore per lo spettatore italiano.
Giovanni Rampazzo
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